Barak en la red de Assad

David Grossman commenta nella Repubblica la nuova situazione creatasi in
Medio Oriente con il (frettoloso) ritiro israeliano dalla zona di sicurezza
nel Sud del Libano. Lo Stato ebraico torna (dopo 22 anni!) al suo confine
internazionale, ma deve constatare di aver sbagliato mossa: voleva infatti
neutralizzare la Siria, ma come per uno «scherzo del destino», l´influenza
del presidente siriano Assad finirà per essere accresciuta dopo il ritiro.

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BARAK NELLA RETE DI ASSAD

di DAVID GROSSMAN

SUCCEDE tutto quanto all´ improvviso, nell´arco di pochi giorni: l´esercito
israeliano raccoglie frettolosamente le sue armi e si ritira dal Libano, la
milizia libanese filo-israeliana si disintegra, gli Hezbollah conquistano i
bunker e i fortini abbandonati arrivando in prossimità della frontiera,
proprio di fronte alle cittadine israeliane che sorgono subito al di là del
confine.

E´ uno sviluppo caotico e drammatico, dal quale possono maturare le più
estreme conseguenze. Nessuno può veramente predire cosa accadrà adesso; e
io, come ogni altro abitante di questa parte del mondo, ho soltanto
domande, dubbi e molte preoccupazioni. Che cosa succederà un attimo dopo il
completamento del ritiro israeliano?

I GUERRIGLIERI di Hezbollah si placheranno, si accontenteranno, oppure,
ubriacati dalla vittoria, continueranno a minacciare Israele? E cosa farà
Israele? Sarà costretto ad azioni di severa rappresaglia contro il Libano?
Che conseguenze avrebbe una rappresaglia israeliana contro le centrali
elettriche del Libano? Che cosa provocherebbe un bombardamento
dell´artiglieria israeliana contro le basi degli Hezbollah, situate come al
solito all´interno di villaggi in cui vivono innocenti civili libanesi?

Purtroppo, temo che la guerriglia farà fatica ad interrompere la trionfante
offensiva suscitata dal ritiro israeliano. Temo anche la Siria, che ha
sempre usato gli Hezbollah per colpire indirettamente Israele, e che non
rinuncerà a una misura così efficace di pressione proprio ora, mentre
Israele appare indebolito e in difficoltà. Ehud Barak, brillante stratega,
scaltro come un gran maestro di scacchi, guarderà oggi con disappunto
all´esito delle sue mosse ben pianificate e studiate. L´imprevedibilità del
Medio Oriente, sommata all´ infida astuzia del presidente siriano Assad,
sembra aver sconfitto la matematica razionalità di Barak.

Esiste anche la possibilità teorica che, dopo il ritiro, il sud del Libano
goda un po´ di pace e di tranquillità per la prima volta in due decenni. Ma
chi vive nella pentola in perenne ebollizione del Medio Oriente non si fa
troppe illusioni. Ogni sobrio osservatore della realtà non può che
aspettarsi i peggiori scenari, il più destabilizzante dei quali sarebbe
ovviamente una nuova, grande guerra, un conflitto armato tra Israele e
Siria, vera potenza occulta in Libano, nel quale mantiene 35 mila dei suoi
soldati e del quale influenza ogni decisione.

Qualunque scenario, anche uno meno spaventoso, come il proseguimento di un
conflitto a bassa intensità tra Israele e gli Hezbollah o una graduale
escalation della violenza lungo la frontiera, non deve impedire a Israele
di ammettere la verità: e cioè che la chiave di ogni soluzione in Libano è
a Damasco, nelle mani di Assad, non a Gerusalemme o a Beirut. Il primo
ministro Barak voleva ritirarsi dal Libano anche per neutralizzare la
capacità di Assad di usare quel conflitto per premere su Israele, e far
riavere così alla Siria le alture del Golan; invece, come per uno scherzo
del destino, l´influenza di Assad finirà per essere accresciuta dal ritiro
israeliano dalla «fascia di sicurezza» libanese.

Queste, tuttavia, sono soltanto supposizioni. E anche se le peggiori si
realizzassero, continuo a credere che Israele doveva fare quello che sta
facendo. Certo, avrebbe potuto ritirarsi diversamente, sarebbe stato meglio
farlo mediante un accordo con il governo libanese e con la Siria, sarebbe
stato giusto garantire piena protezione all´Armata del Libano meridionale,
la milizia libanese alleata di Israele per più di vent´anni. Ma anche in
mancanza di accordi e garanzie, non c´è dubbio che Israele doveva
ritirarsi. Non poteva continuare a occupare il Libano.

Ora, finalmente, Israele tornerà al suo confine internazionale. Così
facendo, Barak mantiene la promessa fatta ai suoi elettori, e compie uno
sforzo eroico per creare una situazione di normalità lungo la frontiera
settentrionale.

A chi non è israeliano, è difficile comprendere quello che ha provocato
questo conflitto nel nostro Paese. La guerra in Libano, cominciata per
sterminare le basi dei palestinesi, ha fatto letteralmente a pezzi la
società israeliana. Ma dal momento in cui Israele torna nei suoi confini,
nessuno in Libano avrà più una ragione o una scusa per agire contro lo
Stato ebraico. Da quel momento, l´opinione pubblica israeliana sarebbe
probabilmente unita come un sol uomo, per la prima volta da molto tempo,
dietro a un leader che decidesse una rappresaglia in risposta a un attacco
proveniente dal Libano.

Del resto, nessuno stato può tollerare una situazione in cui i suoi
cittadini vivono sotto una costante minaccia, la sua gente dorme notte dopo
notte nei rifugi e non può condurre un´esistenza normale. Negli ultimi
vent´anni, per fare un esempio, la città di Kiryat Shmona è stata colpita
da oltre 4000 colpi di katiuscia. Fintanto che le Forze Armate israeliane
erano in Libano, gli Hezbollah avevano il diritto di opporsi all´occupazione.

Ma una volta che i soldati israeliani si saranno ritirati, i guerriglieri<br> libanesi non avranno più alcun diritto di colpire obiettivi militari o
civili in Israele. Da questo punto di vista, Israele corregge dunque un
torto durato troppo a lungo. Perciò penso che gli israeliani devono essere
orgogliosi di questo ritiro, anche se esso appare a molti come
un´umiliazione, una schiacciante vittoria sul campo degli Hezbollah.

Ora mi auguro che la comunità internazionale sostenga l´azione intrapresa
da Barak e lavori affinchè il ritiro abbia successo, affinchè la situazione
si normalizzi.

Comunque vada, c´è una cosa che strazia il cuore: l´orribile spreco di vite
umane, la miopia dei vari leader israeliani ed arabi che non sono stati
capaci di risolvere questa tragedia molto prima.

Mi permetto di raccontare un piccolo fatto personale. Diciotto anni or
sono, poco dopo la nascita del mio primo figlio, venni arruolato
nell´esercito e spedito alla guerra in Libano. Oggi è mio figlio
diciottenne che sta per essere arruolato, e ancora non so se si troverà o
meno in una situazione simile a quella che io stesso ho vissuto. Sono stati
sprecati diciotto anni, migliaia di esseri umani, israeliani e libanesi,
hanno perso la vita in tutto questo tempo, miliardi di dollari sono stati
gettati al vento, per non parlare della paura e della disperazione di
centinaia di migliaia di persone, in Israele e in Libano. E tutto questo
per cosa? Perché non è stato possibile trovare una soluzione 18 anni fa?
Cosa sappiamo oggi che non sapevamo o non capivamo allora? Ma meglio tardi
che mai. Barak sta compiendo il primo sincero tentativo di spezzare questa
diabolica rete di terrore, dolore e minacce. Ci riuscirà? Lo sapremo
soltanto dopo altri giorni di ansia e di tensione.

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ZENIT Staff

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